Bene, è l’inizio dell’anno e scrivo. Scrivo perché ne ho
bisogno, è un modo come un altro di svuotare la mente e concentrarmi su cose
che non sono “il presente” e in questo periodo mi serve più che mai.
Ho deciso di scrivere un’altra recensione ad cazzum, su un
libro che ho letto recentemente ed è riuscito a staccarmi dalla realtà quel
tanto che basta a farmi star bene (cristo santo, sembro Kylo Re... ahem, volevo
dire un emo qualsiasi, meglio finirla). Un libro che merita davvero di esser
letto. Da chiunque, non solo da coglioni depressi con la barba come il
sottoscritto. Ah, come al solito SPOILER ALERT.
Il libro in questione è American Gods di Neil Gaiman, e se
non sapete chi è Neil Gaiman vuol dire che non avete mai letto Sandman. Lo
capisco, non è che dalle nostre parti lo abbiano letto in tantissimi, però tra
i fumetti c’è davvero poca roba di quel livello lì, quindi se vi piacciono i
paginoni disegnati con le nuvolette dei dialoghi fate un favore al vostro io
interiore e tentate di recuperarlo. Ne vale davvero la pena, basta superare
indenni l’inizio un po’ fiacco.
Ma sto divagando, che poi è la cosa che faccio sempre,
quindi torniamo in carreggiata parlando, appunto, di American Gods. È una
carreggiata di quelle belle accoglienti, dove si guida tranquilli, con curve
che quasi ti cullano e senza rompicoglioni attorno. Sì insomma, è un libro
della madonna. Non che ci fosse dubbio alcuno sulla qualità del testo, almeno
per chi Sandman lo ha letto, però un libro è una cosa diversa da un fumetto e
fa piacere notare come Gaiman sia uno dei pochi autori in grado di
destreggiarsi senza troppi sforzi in varie forme di scrittura. Il bello è che
American Gods non è nemmeno facile da inserire in un genere preciso: è un
fantasy moderno, chiaramente, ma è ricchissimo di mitologia e finemente
ricercato, al punto da non poter essere strizzato nelle spesso sottilissime
mura della generalizzazione. Si tratta, in larga parte, di uno spaccato dell’America
e della sua storia visto con l’occhio neutrale di uno che arriva dall’esterno
ma ha poi scelto di vivere lì. Una neutralità che a Gaiman dà modo di
descrivere anche il peggio degli States, specie quando ci si avvicina al loro
non proprio luminosissimo passato.
D’altronde la premessa del libro è terreno fertile per un
racconto così multiforme. Gli dei, in American Gods, sono reali. Credere in una
divinità e venerarla la porta ad esistere e non c’è posto al mondo dove se ne
trovano di più dell’America, un melting pot di popolazioni che hanno portato creature
ancestrali dall’Africa, figure mitologiche dall’est Europa, guardiani dell’oltretomba
dall’Egitto e quant’altro. L’America è però anche un posto pessimo per gli dei,
un luogo dove difficilmente possono prosperare, visto il consumismo imperante e
le deboli radici di chi gli dà forma. Gaiman gioca a meraviglia con questa
situazione, dando vita a un mondo vicino, anzi, vicinissimo a quello reale, ma
popolato da un numero smodato di personaggi brillanti, le cui vicende ruotano
attorno al protagonista, Shadow.
Ora, per quanto mi riguarda, già
riuscire a dare una dignità a un personaggio che va in giro dicendo di chiamarsi
“ombra” è un’impresa che ben pochi sono in grado di compiere. Gaiman vi riesce,
e rende persino Shadow un protagonista tra i più riusciti che io abbia mai
visto. Shadow è perfetto per questo libro: è un uomo tranquillo, che ha avuto
guai con la legge e a cui crolla il mondo addosso nel giorno della redenzione,
proprio quando viene rilasciato dalla prigione in cui si trova per una rapina
andata malamente. Un bestione che sa badare a sé stesso, eppure emana di rado
un’aura minacciosa e manifesta davvero ben poche emozioni mentre vaga per gli
Stati Uniti. Come viene descritto a un certo punto durante il libro, Shadow
sembra più “un buco a forma di uomo che un essere vivente”, è un personaggio
silenzioso, misterioso, che si ritrova catapultato negli eventi a causa di
segreti ben più grandi di quanto prevedibile, eppure è davvero difficile non
tifare per lui in mezzo a tutte le tragedie che gli capitano e davanti alla sua
capacità quasi (e dico “quasi”) incrollabile di mantenere un comportamento
gentile e dignitoso anche davanti a situazioni terribili. Shadow è il compagno ideale
del lettore, un contraltare riuscitissimo a qualunque personaggio inserito
nella novella, indipendentemente da quanto il comprimario sia folle o
caricaturale. E di personaggi fuori di testa ce ne sono in sto libro, oh se ce
ne sono...
Come ho detto, Gaiman ha fatto le sue ricerche ed ha tirato
fuori divinità di ogni tipo dal cappello, partendo dal carismatico
Mr.Wednesday, in realtà un noto dio Nordico che mette tutto in moto. Non si è
limitato però a riempire la trama di personalità indimenticabili, e ha pensato
bene di spezzare le vicende principali con flashback e sequenze oniriche di
rara qualità. Non si infilano a forza nella narrazione, non disturbano chi
legge, e al contempo rendono tutto più chiaro e dettagliato, donando importanti
tessere del puzzle ai più attenti. Storie nella storia che non stonano, una
specialità del buon Neil che gli ha permesso di mantenere scorrevole un libro
di quelli davvero massicci quanto a numero di pagine.
Il risultato finale è quasi un misto tra un compendio di
leggende e un gioco, uno di quei libri dove l’autore sfida per certi versi il lettore a
riconoscere gli dei e le storie mitologiche che inserisce nelle sue pagine.
E sia chiaro, finché si tratta di divinità egizie è ancora ancora facile
orientarsi, ma poi iniziano ad apparire dei davvero oscuri e sconosciuti ai
più, ed è un gioco mentale davvero curioso il cercare di intuire chi è chi
mentre si avanza tra i capitoli. E tutta sta bontà, non bastasse, si regge su
una storia di quelle che filano via come il buon vino, strutturata da dio (HA!
Ok mi sotterro), e rafforzata da un paio
di colpi di scena che sono sì intuibili, ma dannatamente ben pensati e infilati
nel mix, con quel giusto quantitativo di indizi in sottofondo per non rovinare
la sorpresa ma al contempo tenere il lettore sulle spine. C’è anche la morale,
o “le” morali, nascoste tra le pieghe della storia e le “nuove” divinità nate
dalla società odierna. In parole povere, c’è tutto quello che dovreste volere
da un gran bel libro, e proprio questo è American Gods, un gran bel libro,
pensato bene, scritto meglio, e chiuso alla perfezione. Piccolo consiglio prima di comprarlo a scatola chiusa: tenete a mente che è anche molto maturo, che al suo interno non
mancano momenti piuttosto crudi (dove per “crudo” intendo il livello “uomo
divorato da una vagina magica”, non scherzo) e che persone molto religiose
potrebbero urlare “alla blasfemia” ogni tot pagine. Uh, considerate anche che lo ho letto in inglese e che quindi mi riesce difficile valutare se la
traduzione italiana sia all’altezza o meno del testo originale, ma anche
sticazzi, dubito che si sia imbruttito poi molto con il passaggio al nostro
bell’idioma.
Da leggere. Tipo ora. Che se no siete brutte persone. E si
spera che non lo stuprino troppo con l’arrivo in tv, visto che stanno lavorando
su una serie televisiva dedicata. Ma che dico... ovvio che manderanno tutto a
puttane. Motivo in più per leggere il libro.
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